LA STORIA DI FERLA SIRACUSA
VIII sec. a.C., colonizzazione greca: il primitivo abitato è identificato con il Castel di Lega sulla collina a sud di Ferla.
III-II sec. a.C., insediamento di età ellenistica (lo rivela la necropoli rinvenuta sotto la chiesa matrice e quella di San Sebastiano.
XI-XII sec. d.C., in età normanna Ferla è fondata da longobardi di piazza Armerina; lo dimostrerebbero i toponimi di contrade come Braida (“area fertile e pianeggiante”), e la stessa parlata locale, che aderisce al ceppo gallo-italico tipico delle zone di dominazione longobarda; il borgo si sviluppa nel piano di San Sebastiano intorno a una piccola fortezza posta sotto il dominio normanno di Goffredo, figlio di Ruggero I d’Altavilla.
1269, un accordo tra il barone di Ferla e quello di Xirumi su dei pascoli incolti è il primo documento che parla di Ferla.
XIV-XVI sec., il feudo acquista importanza grazie al barone Nicolò Lanza, viceré di Sicilia per conto dei sovrani aragonesi, e ad altri potenti personaggi come Giliberto Centelles e Francesco Pallavicino; nel 1397 è nominato barone di Ferla Giovanni d’Alagona della famiglia Moncada, che resterà in possesso del feudo fino al 1575 rendendolo florido.
1625, Ferla diventa un marchesato, assegnato a Giuseppe Rau e a Grimaldi da Noto dal re di Spagna Filippo IV.
1693, il terremoto della Val di Noto provoca a Ferla la morte di un quarto della popolazione e la distruzione dei maggiori edifici; la ricostruzione avviene spostando più a nord il centro urbano.
1704, il barone Simone Tarallo compra il titolo e il feudo di Ferla.
LO SPIRITO DEL LUOGO
Il cuore pulsante della storia batte in questo piccolo centro della Val di Noto ricostruito dopo il terremoto del 1693 che fece tabula rasa di gran parte della Sicilia orientale. E’ così che questa parte dell’isola, ricostruita nelle esuberanti forme del barocco, è diventata un atlante di architetture talmente prezioso da meritare il titolo Unesco di «Patrimonio dell’Umanità». In più, Ferla ha nel sottosuolo e nelle grotte tutto un rigoglio di pre-esistenze arcaiche e complessi rupestri che vanno dai greci alle prime comunità cristiane, dai bizantini ai longobardi e ai normanni passando forse per gli arabi. Da tale aggrovigliato sistema di abitazioni-grotta, vicoli e stradine, è nato il borgo normanno poi distrutto dal sisma. Oggi, nell’impianto urbanistico a forma di croce della ricostruzione settecentesca, risplendono soprattutto le chiese, una più bella dell’altra, poste su un percorso, la “via sacra”, che è un ininterrotto scenario barocco. E, tutt’intorno, gli ulivi, i carrubi, i mandorli, le vigne e i muretti a secco della campagna iblea.
LUOGHI DA VISITARE
Chi arriva in Val di Noto per visitare Ferla, dopo aver apprezzato il barocco di Noto, trova una piacevole sorpresa. Si arriva al borgo attraversando l’altopiano dei Monti Iblei, spesso coltivato a grano e caratterizzato dalla presenza di mandorli, di ulivi e carrubi centenari, mucche al pascolo e una fitta rete di muretti a secco.
Si entra in paese tra i ruderi dei rioni medievali, spesso riutilizzati come stalle o orti, e le vecchie stradine del quartiere Carceri Vecchie da cui, partendo da una chiesa bizantina, si snoda il percorso di sepolcri e grotte. Qui si è subito catturati dall’atmosfera «siciliana»: anche se non si vedono più carretti trainati da asini o donne con i capelli intrecciati dietro la nuca, sedute su sgabelli di paglia davanti alla porta di casa; tuttavia, le piccole costruzioni dai muri diroccati conservano l’uscio bucato (iattaruala) per farvi passare il gatto, e la piccola finestra sulla porta (giustieddu) per vedere senza essere visti.
Dettagli della Sicilia che fu, presenti anche quando dai vecchi quartieri popolari di Castelverde e Calanconi si arriva nelle vie Vittorio Emanuele e Umberto I, il cardo e il decumano dell’impianto viario a forma di croce risalente alla ricostruzione del borgo dopo il terremoto del 1693.
Via Vittorio Emanuele è la via Sacra, perché lungo di essa si ergono i cinque edifici religiosi del centro storico di Ferla. La prima chiesa che s’incontra nella parte meridionale della strada è quella del Carmine dedicata a Santa Maria del Carmelo e collegata al convento abolito nel 1789. La facciata settecentesca, in conci squadrati di pietra da taglio bianca, presenta due diversi ordini architettonici, dorico e ionico. L’interno è a una sola navata. Proseguendo lungo il “percorso sacro” si arriva alla chiesa di San Sebastiano, la più grande del paese, in fase di restauro. Eretta dall’architetto siracusano Michelangelo di Giacomo nel 1741, presenta un impianto a tre navate con otto cappelle. La navata centrale ha un altare di legno con bassorilievi vivacizzato da specchietti colorati. La grande tela di Giuseppe Crestadoro del 1789 rappresenta il Martirio di San Sebastiano. Magnifico è il gruppo scultoreo della facciata raffigurante anch’esso il martirio di San Sebastiano, opera di Michelangelo Di Giacomo ed emblema prezioso della statuaria del barocco ibleo. L’incontro successivo è quello con la chiesa Madre, che reca sul portale l’esemplare più antico dello stemma comunale (1763 circa). Anche qui il prospetto è costituito da due ordini architettonici e l’apparato decorativo interno è ricco di stucchi e sculture. La chiesa seguente, quella di Sant’Antonio, è la più bella, grazie alla flessuosa facciata barocca costituita da tre corpi concavi, di cui i due laterali sormontati da torri campanarie (quella di sinistra è crollata durante il terremoto del 1908). L’interno è uno spazio dinamico e inedito per le architetture coeve dell’altopiano ibleo. L’impianto a croce greca (ogni asse della croce doveva misurare 33 metri, gli anni di Cristo alla morte) è coronato da una cupola ottagonale affrescata con il Trionfo di Sant’Antonio del Crestadoro. Interessanti sono anche le quattordici sculture a stucco delle Virtù cardinali e teologali. Risalendo lungo la via Garibaldi, si raggiunge la chiesa di Santa Maria, l’ultima del percorso sacro, che è stata convento nel XV secolo, poi scuola e carcere, e merita una sosta per la presenza di un crocifisso ligneo di Frate Umile da Petralia del 1633.
Attirano anche, soprattutto in via Umberto, alcuni edifici civili in cui lo stile barocco è integrato dal gusto liberty di inizio Novecento, sulla scia dei palazzi palermitani di Ernesto Basile. Alla fine di via Vittorio Emanuele si ha invece un esempio di “nuova frontiera” architettonica nell’edificio che comprende l’ecostazione e la Casa dell’Acqua, sintesi di sostenibilità ambientale e innovazione, allestito con materiali riciclati e resi nuovamente funzionali. In via Garibaldi si nota il fastoso balcone barocco di palazzo Mirabella, sede del museo parrocchiale.