Leggenda della Sicilia

Terra affascinante e misteriosa, nel corso dei secoli, la Sicilia ha fatto da sfondo anche a numerosi miti e leggende, molti dei quali tramandati ancora oggi. 

Crocevia di popolazioni e culture diverse, questa regione ha ereditato un immenso patrimonio mitologico da ogni dominazione che ha vissuto. 

Sicuramente, da questo punto di vista, il contributo più importante è stato lasciato dai Greci, anche se non mancano storie tralasciate dalle popolazioni che, in seguito, hanno conquistato la Sicilia. 

Ecco allora alcuni dei racconti più suggestivi ambientati in questa splendida terra: buona lettura!

La storia della principessa Sicilia

Sicilia era una bellissima principessa, originaria del Libano. Un giorno, un oracolo le predisse che sarebbe morta a 15 anni, uccisa dal mostro Greco Levante, se non avesse lasciato la sua terra.

Per questo motivo al compimento del quindicesimo anno di età, i suoi genitori la convinsero a partire su una barca. Il viaggio fu lungo e difficile e la principessa era ormai disperata quando, grazie a dei venti provvidenziali, venne spinta verso un’isola dalla terra fertile, piena di frutti ma completamente deserta. La principessa iniziò allora a piangere: era stanca della solitudine.

Ad un tratto, però, le venne incontro un giovane. Questo era l’unico sopravvissuto ad una terribile pestilenza che aveva ucciso il resto della popolazione.

Per volere degli dèi, i due si innamorarono e dalla loro unione nacquero i nuovi abitanti dell’isola, che prese il nome dalla donna che vi aveva riportato la vita. 

Encelado, il Gigante intrappolato sotto la Sicilia

Questo mito affonda le sue radici nella cultura greca. Encelado era uno dei Giganti, figlio di Gea e Urano, la Terra e il Cielo, e insieme ai suoi fratelli, prese parte alla cosiddetta Gigantomachia, la mitica battaglia contro gli dèi dell’Olimpo, capeggiati da Zeus. 

Durante la lotta, Encelado cercò di scappare ma Atena lo raggiunse e riuscì a sconfiggerlo. Per impedire che scappasse di nuovo, la dea lo sotterrò gettandogli addosso l’intera Sicilia. Il Gigante è tuttora intrappolato sotto l’Isola, dalla quale non può fuggire: l’attività vulcanica dell’Etna trae origine dal suo respiro, infuocato e rabbioso; i suoi movimenti, nel tentativo invano di liberarsi, causano i terremoti che scuotono l’intera Sicilia.

Aretusa, la Ninfa trasformata nella fonte di Ortigia


A Siracusa, precisamente ad Ortigia, si trova la cosiddetta Fonte Aretusa, un meraviglioso specchio d’acqua, teatro di uno dei miti più suggestivi ambientati in Sicilia.

Aretusa era una delle ninfe al seguito di Artemide, dea della caccia e della castità. Una delle tante versioni della storia narra che un giorno, stanca e accaldata dopo una lunga corsa tra i boschi, la ninfa decise di concedersi un bagno in un corso d’acqua, fino a quando la divinità del fiume, Alfeo, figlio del dio Oceano, non uscì allo scoperto. 

Alfeo, infatti, era rimasto molto colpito dalla bellezza di Aretusa e si era innamorato perdutamente di lei. La ninfa però iniziò a fuggire, cercando di scappare dal dio, che continuava ad inseguirla.

Alla fine, stremata, Aretusa invocò in suo aiuto la dea Artemide. La divinità avvolse in una nube la ninfa e la trasportò fino a Siracusa, dove poi la tramutò in una sorgente d’acqua dolce. 

Alfeo, però, non riuscì a rassegnarsi all’idea di aver perso la sua amata per sempre e pregò il padre e gli dèi di aiutarlo. Venne così trasformato in un fiume e dalla Grecia, attraversando il Mar Ionio, riuscì a riunirsi alle acque della sua Aretusa. 

Scilla e Cariddi, i mostri dello Stretto di Messina

Secondo la mitologia greca, tra la Calabria e la Sicilia, nello stretto di Messina, erano collocati due terribili mostri, Scilla e Cariddi, che costituivano un vero e proprio incubo per i marinai.

Scilla, figlia del dio marino Forco, era una ninfa tanto bella quanto superba. Secondo una delle versioni del mito, di lei si innamorò perdutamente Glauco, una divinità marina. 

Non essendo ricambiato, Glauco si rivolse allora alla maga Circe che, segretamente innamorata e tanto gelosa del dio marino, decise di trasformare Scilla in un orrendo mostro. 

In preda alla disperazione per il suo aspetto, la ninfa decise di nascondersi sotto le acque marine e di sfogare la sua rabbia contro ignari marinai. 

Posta nello stesso tratto di mare insieme a Scilla, vi era anche Cariddi, che veniva identificata con lo spaventoso vortice in grado di risucchiare i marinai. Secondo il mito,Cariddi era inizialmente una naiade, una ninfa delle acque dolci, dedita alle rapine e celebre per la sua voracità. 

Un giorno, presa dalla sua insaziabilità, rubò i buoi ad Eracle e li divorò. Allora Zeus la punì fulminandola e facendola cadere in mare, dove la trasformò in un terribile mostro, capace di risucchiare una grande quantità di acqua, che veniva poi rigettata così da creare i pericolosi vortici che spesso causavano i naufragi.

Scilla e Cariddi, le due guardiane terrificanti dello stretto di Messina, sono state menzionate anche da Omero, nel XII libro dell’Odissea, e da Virgilio nella sua Eneide.

Le isole dei Ciclopi e Polifemo innamorato

Acitrezza è un caratteristico borgo, in provincia di Catania, famoso anche per i suoi faraglioni, noti soprattutto come le “isole dei Ciclopi”. Infatti, dopo esser stato accecato da Odisseo, il ciclope Polifemo, in preda all’ira, scagliò degli enormi massi, cercando di colpire l’eroe itacese che nel mentre scappava. Proprio quei massi formarono gli isolotti che ancora oggi si possono ammirare.

È stata tramandata anche un’altra leggenda con protagonista sempre il ciclope Polifemo.

Aci, figlio di Fauno, era un pastore, che un giorno si innamorò perdutamente della ninfa Galatea. Il suo amore venne ricambiato ma anche Polifemo, che viveva con tutti i suoi fratelli all’interno dell’Etna, bramava follemente la compagnia della ninfa. Galatea invece scherniva il Ciclope tanto che quest’ultimo, in preda alla rabbia e alla gelosia, schiacciò con un grande masso il povero pastorello. 

Secondo una delle tante versioni del mito, gli dèi, impietositi dal dolore di Galatea, decisero di trasformare Aci in un fiume che nasce dall’Etna e sfocia nel tratto di spiaggia dove i due amanti erano soliti incontrarsi. Questa travagliata storia d’amore è stata raccontata anche da Ovidio nelle sue Metamorfosi.

La leggenda di Colapesce

Quella di Colapesce è una delle leggende siciliane più famose e ha moltissime varianti. Secondo la versione messinese, il protagonista di questa storia è Nicola, o Cola da Messina, figlio di un pescatore. Cola amava moltissimo il mare ed era stato soprannominato Colapesce per la sua grande abilità nelle immersioni.

La sua fama arrivò fino al re Federico II di Svevia, che decise di testare la bravura del giovane. Il sovrano buttò in mare una coppa ed ordinò a Colapesce di riprenderla: il ragazzo ci riuscì senza problemi. 

Allora, Federico II di Svevia lanciò in acqua la sua corona ma anche questa venne recuperata senza troppe difficoltà dal ragazzo. Alla fine, il re buttò un gioiello piccolissimo, un anello. Cola si tuffò in mare ma non riuscì più a riemergere. Secondo alcuni, il ragazzo morì annegato; per altri, invece, Cola, nuotando sempre più in profondità, vide che l’Isola era sostenuta da tre colonne e una di queste stava per spezzarsi. 

Così, per non far sprofondare la sua amata terra, il ragazzo decise di rimanere lì, negli abissi, a sorreggere l’intera Sicilia.